CATALUNYA 2.
La crescita
dell’indipendentismo in Catalunya è dovuta al nazionalismo uninazionale dello
Stato borbonico spagnolo e al suo establishment politico-mediatico
Il fatto che la destra, così come anche
molta sinistra spagnola,attribuisca la responsabilità di questa crescita alla
politica informativa ed educativa del Governo catalano, si spiega con il
desiderio di negare qualsiasi responsabilità dello Stato spagnolo, che invece è
la causa prima del desiderio di larghe fasce della popolazione catalana di
separarsi dalla Spagna. La causa della crescita dell’indipendentismo non ha la
sua sede in Catalunyabensì nelle scelte politiche dello Stato centrale basato a
Madrid, capitale del Regno e centro del nazionalismo spagnolista, che è la prima
e più importante causadi questa crescita. Per capire quello che succede in Catalunya
è necessario conoscere il passato occulto, volutamente dimenticato dalla
storiografia ufficiale del paese,e il presente, artatamente manipolato dall’establishment politico-mediatico. Il
nazionalismo uninazionale, la cui massima espressione fu la dittatura franchista
durata quasi quarant’anni (1936-1975), è ancora ben presente nella democrazia
attuale. Si tratta di una cultura che è rimasta all’interno del nuovo Stato
democratico in conseguenza del fatto che la sin troppo celebrata Transizione dalla
dittatura alla democrazia (1975-1978), non comportò una reale rottura con lo
Stato anteriore, bensì un’apertura voluta soltanto al fine di incorporare
elementi di democrazia utili a consentire l’ingresso della Spagna nell’Unione
Europea. Elementi di democrazia assolutamente insufficienti per poter effettivamente
omologare la democrazia esistente in Spagna all’interno della maggioranza dei
paesi della comunità politico-amministrativa europea.
Il
nazionalismo uninazionale spagnolista che pretende non essere definito come
nazionalismo
Lo Stato spagnolo è sempre stato lo strumento primo di questo
nazionalismo spagnolista, propugnato dalla Monarchia borbonica. Questa visione uninazionale è presente in
maniera dominante nell’intellighentzia
spagnola. Ed è una visione così poderosa e così generalizzata che nemmeno gli
stessi attori/autori che ne sono interpreti si rendono conto di esserne
asserviti. E’ tipico di qualunque discorso discriminatorio che chi lo propugna
non si renda conto di farlo. Sicché, per esempio, in una cultura machista le
espressioni machiste utilizzate nel linguaggio non vengono riconosciute come
tali da coloro stessi che le utilizzano, i quali non ne sono nemmeno coscienti.
Certi termini sono così radicati nel linguaggio e nella maniera di pensare
dominante che finiscono per non essere più percepiti come ideologici; vengono
invece considerati come facenti parte di un linguaggio ragionevole e/o logico.
E’ quello che succede con il nazionalismo spagnolista che non ritiene di essere
un nazionalismo. Talché il termine “nazionalismo” viene utilizzatosoltanto per
definire i nazionalismi “periferici”, come il catalano, il basco o il galiziano.
Oggi in Spagna assistiamo al paradosso di vedere Vargas Llosa e altri
intellettuali sostenere che i nazionalismi sono negativi, però definendo così
solo quelli periferici, senza riconoscere di essere essi stessi profondamente
nazionalisti dal momento che pretendono imporre il loro nazionalismo, un
nazionalismo uninazionale e centralizzatore, a tutti gli altri.
Questo nazionalismo uninazionale fu imposto a sangue e fuoco
in Catalunya nel 1714 e poi durante la Guerra Civile (1936-1939). Non si vuole riconoscere
che, per esempio, la lingua catalana fu sempre proibita dagli occupanti
dellaCatalunya essendo consentito parlare soltanto “la lengua del imperio”,
come si definiva il “castellano”, che noi italiani chiamiamo spagnolo. Il
fascismo, massima espressione del nazionalismo spagnolista, comportò non solo
l’oppressione di una classe sociale ma di una nazione intera. Questo fatto non
lo si vuole ammettere e tantomeno riconoscere, preferendo dimenticare
deliberatamente l’enorme brutalità che arrivò a sorprendere persino alcuni
dirigenti del nazismo tedesco e del fascismo italiano, in visita a Barcellona
durante l’occupazione franchista, susseguente alla Guerra Civile. I golpisti
franchisti, che interruppero con le armi il sistema democratico repubblicano,
governarono esercitando deliberatamente il terrore, ben coscienti del fatto che
la grande maggioranza della popolazione era contro di loro. In Catalunya massimamente, ma anche nel resto
del paese.
L’imposizione del nazionalismo uninazionale spagnolista
In Catalunya, sia pure con risultati
scadenti,si è condotto sistematicamente e per un tempo assai lungo un genocidio
culturale, un fatto questo cheil nazionalismo spagnolista ha voluto e ancora vuoledisconoscere,
ignorare e occultare.La repressione brutale e la politica del terrore contro la
maggioranza espressa dalle classi popolari, volute e condotte dalle oligarchie
e dalla éliteancora oggi al potere, si applicarono all’intera Spagna, con un
particolare accanimento nei confronti della Catalunya e della sua cultura. La
sinistra catalana ha sempre sostenuto che la lotta per l’emancipazione delle
classi popolari e della nazione catalana è una sola e unica lotta.In Spagnala
grande influenza del nazionalismo spagnolista ha sempre giudicato come secessionismo
qualsiasi difesa dell’identità catalana e della plurinazionalità del paese. La
marginalizzazione di Pasqual Maragall, presidente socialista della Generalitat
de Catalunya e già sindaco della Barcellona dei Giochi Olimpici del 1992,
voluta dal PSOE (Partito Socialista Operaio Spagnolo)del presidente Zapatero
per contrastare il tentativo di affermazione del diritto della Catalunya a
essere nazione, esemplifica assai bene questa influenza. Maragall fu accusato
di simpatie secessioniste, ma nella realtà la richiesta catalana di riconoscimento
non ha mai celato, né allora né oggi, ambizioni secessioniste. Anche in Spagna
come nel resto d’Europa i socialisti cominciavano a dimenticare cosa volesse
dire essere socialisti.
Critica al supposto
vittimismo della Catalunya
Altra accusa reiterata dell’establishment politico-mediatico
spagnolo al nazionalismo catalano è quella di vittimismo, presentando la
Catalunya come se soffrisse di un complesso paranoico in quanto vittima della
Spagna. Complesso secondo loro infondato dato che la Catalunya avrebbe sempre
goduto di un trattamento preferenziale da parte dello Stato spagnolo. Un’analisi
obiettiva di quanto avvenne con la Statuto del 2006 (quando alcune delle sue
parti essenziali furono annullate dal veto posto dal Tribunale Costituzionale,
dando inizio all’impennata dell’indipendentismo) mostra l’infondatezza di
questa accusa. Ecco dunque una breve lista delle ingiustizie e delle offese
fatte alla Catalunya. Nel 2005 il governo tripartito catalano di sinistra, guidato
dal socialista Pasqual Maragall, elaborò uno Statuto che ridefiniva la
relazione del governo della Generalitat catalanacon lo Stato spagnolo, Statuto
nel quale proponeva, tra altre cose, il riconoscimento della Catalunya come
nazione, all’interno di uno Stato spagnolo plurinazionale. Tale Statuto, come
già detto, fu approvato dal Parlamento della Catalunya, e poi (con alcune
modifiche) dalle Cortes Españolas (il Parlamento di Madrid) e infinedal popolo
catalano, consultato con un referendum. Purtroppo però tutto questo processo
che rifletteva un accumulo di decisioni prese da diverse Istituzioni, tutte
diversamente sovrane,fu completamente ignorato. Elementi importanti di questo Statuto
furonomodificati o vietati dal Tribunale Costituzionale, controllato dal PP
(Partito Popolare), realizzando quello che è stato definito un vero e proprio
colpo di Stato al servizio degli interessi di un unico partito. E, offesa ancor
maggiore, furono eliminati dal nuovo Statuto catalano elementi che erano stati
approvati negli Statuti di altre Comunità Autonome, come quella dell’Andalusia.
Perché dunque accusare di paranoia la Catalunya?Questo atteggiamento si è
ripetuto e ha illustrato il comportamento del governo centrale, da allora sino
a oggi. Come interpretare la mobilitazione dello scorso settembre, in omaggio
alla Guardia Civil responsabile delle oltre mille vittime del 1° di Ottobre se
non come un ennesimo atto del nazionalismo spagnolista, dato che Guardia Civil
e Polizia nazionale operarono come strumenti al servizio dello Stato spagnolo
per imporre la legge di Madrid in Catalunya?L’esagerata enfasi al rispetto
della Legge – un altro degli argomenti reiterati ossessivamente dal
nazionalismo uninazionale spagnolo, come un monotono mantra - ignora
volutamente che la Costituzione del 1978 risale appuntoal periodo della
cosiddetta Transizione (1975-1978). Un periodo assai poco equilibrato, durante
il quale i franchisti vincitori della Guerra Civil (che controllavano l’apparato
dello Stato e la maggior parte dei mezzi di comunicazione) avevano praticamente
tutto il potere, mentre i vinti, i Repubblicani, (che avevano vinto le elezioni
nel 1936 ottenendooltre il 60% dei seggi nel Parlamento di Madrid) avevano un potere
assai scarso, essendo nella maggior parte appena usciti dal carcere o ritornati
dall’esilio o riemersi dalla clandestinità. La continua referenza al rispetto
della Legge è il messaggiodi quelli che vogliono garantirsi il perpetuare anche
oggi dello stesso squilibrio nel confronto fra le forze politiche. Una mera
scusa per difendere lo statu quo.
Per quanto poi riguarda l’approvazione
della Costituzione da parte di tutta la popolazione spagnola garantirebbe quella
legittimità alla quale devono sottostare tutti coloro che si pretendono
democratici, occorre segnalare che alla popolazione furono presentate due sole
alternative: aprire alla Democrazia, così come riflessa nella Costituzione
oppure continuare con la Dittatura. Di fronte a queste due opzioni era ovvia quale
fosse la scelta della maggioranza degli spagnoli. Ma altrettanto ovvio rilevare
che dovunque – anche in Catalunya dove la maggioranza fu la più alta – prevalse
il rigetto alla dittatura piuttosto che l’entusiasmo per quella particolare
Costituzione, quella attualmente in vigore, che l’establishment di Madrid difende con le unghie. La risposta al
referendum costituzionale fu l’unica possibile per la soluzione di una
situazione altrimenti oramai intollerabile.
Per quei catalani che si sentono anche spagnoli, è oggi assai difficile
optare per qualcosa che non sia il secessionismo, dato che l’immagine che rinvia
la Spagna alla Catalunya è molto poco seducente. Va guardato con speranza e
considerato positivamente la comparsa su tutto il territorio spagnolo di nuove
forze progressiste che difendono una visione plurinazionale. Esse sole potranno
salvare la Spagna, perché la repressione e la costante ottusa offesa alla
Catalunya da parte dello Stato spagnolo hanno oramai quasi raggiunto
l’obiettivo desiderato dall’indipendentismo. L’ostilità crescente di larghe
fasce della società catalana nei confronti dello Stato spagnolo e della Spagna
è un fatto oramai acquisito. Oggi più che mai occorre credere che un’altra
Spagna sia possibile, una Spagna plurinazionale e repubblicana, della quale la
nuova Catalunya possa fare parte. Il troppo lungo protrarsi del dominio dello
Stato borbonico ha purtroppo oramai aperto le porte a un secessionismo di
pancia, condiviso da una grande parte dei catalani, popolari e/o borghesi.
* * *
Questo scritto è il
risultato della mia traduzione dal castellano e del mio libero adattamento
dell’articolo di Vicenç Navarro, professore di Scienze
Politiche e Socialidell’Università Pompeu Fabra di Barcellona, apparso
oggi sullarivista web “10 Publico”
.
GIOVANNI CUTOLO
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