sabato 4 novembre 2017

CATALUNYA 2 - di Giovanni Cutolo




CATALUNYA 2.

La crescita dell’indipendentismo in Catalunya è dovuta al nazionalismo uninazionale dello Stato borbonico spagnolo e al suo establishment politico-mediatico

Il fatto che la destra, così come anche molta sinistra spagnola,attribuisca la responsabilità di questa crescita alla politica informativa ed educativa del Governo catalano, si spiega con il desiderio di negare qualsiasi responsabilità dello Stato spagnolo, che invece è la causa prima del desiderio di larghe fasce della popolazione catalana di separarsi dalla Spagna. La causa della crescita dell’indipendentismo non ha la sua sede in Catalunyabensì nelle scelte politiche dello Stato centrale basato a Madrid, capitale del Regno e centro del nazionalismo spagnolista, che è la prima e più importante causadi questa crescita. Per capire quello che succede in Catalunya è necessario conoscere il passato occulto, volutamente dimenticato dalla storiografia ufficiale del paese,e il presente, artatamente manipolato dall’establishment politico-mediatico. Il nazionalismo uninazionale, la cui massima espressione fu la dittatura franchista durata quasi quarant’anni (1936-1975), è ancora ben presente nella democrazia attuale. Si tratta di una cultura che è rimasta all’interno del nuovo Stato democratico in conseguenza del fatto che la sin troppo celebrata Transizione dalla dittatura alla democrazia (1975-1978), non comportò una reale rottura con lo Stato anteriore, bensì un’apertura voluta soltanto al fine di incorporare elementi di democrazia utili a consentire l’ingresso della Spagna nell’Unione Europea. Elementi di democrazia assolutamente insufficienti per poter effettivamente omologare la democrazia esistente in Spagna all’interno della maggioranza dei paesi della comunità politico-amministrativa europea.

Il nazionalismo uninazionale spagnolista che pretende non essere definito come nazionalismo

Lo Stato spagnolo è sempre stato lo strumento primo di questo nazionalismo spagnolista, propugnato dalla Monarchia borbonica.  Questa visione uninazionale è presente in maniera dominante nell’intellighentzia spagnola. Ed è una visione così poderosa e così generalizzata che nemmeno gli stessi attori/autori che ne sono interpreti si rendono conto di esserne asserviti. E’ tipico di qualunque discorso discriminatorio che chi lo propugna non si renda conto di farlo. Sicché, per esempio, in una cultura machista le espressioni machiste utilizzate nel linguaggio non vengono riconosciute come tali da coloro stessi che le utilizzano, i quali non ne sono nemmeno coscienti. Certi termini sono così radicati nel linguaggio e nella maniera di pensare dominante che finiscono per non essere più percepiti come ideologici; vengono invece considerati come facenti parte di un linguaggio ragionevole e/o logico. E’ quello che succede con il nazionalismo spagnolista che non ritiene di essere un nazionalismo. Talché il termine “nazionalismo” viene utilizzatosoltanto per definire i nazionalismi “periferici”, come il catalano, il basco o il galiziano. Oggi in Spagna assistiamo al paradosso di vedere Vargas Llosa e altri intellettuali sostenere che i nazionalismi sono negativi, però definendo così solo quelli periferici, senza riconoscere di essere essi stessi profondamente nazionalisti dal momento che pretendono imporre il loro nazionalismo, un nazionalismo uninazionale e centralizzatore, a tutti gli altri.
Questo nazionalismo uninazionale fu imposto a sangue e fuoco in Catalunya nel 1714 e poi durante la Guerra Civile (1936-1939). Non si vuole riconoscere che, per esempio, la lingua catalana fu sempre proibita dagli occupanti dellaCatalunya essendo consentito parlare soltanto “la lengua del imperio”, come si definiva il “castellano”, che noi italiani chiamiamo spagnolo. Il fascismo, massima espressione del nazionalismo spagnolista, comportò non solo l’oppressione di una classe sociale ma di una nazione intera. Questo fatto non lo si vuole ammettere e tantomeno riconoscere, preferendo dimenticare deliberatamente l’enorme brutalità che arrivò a sorprendere persino alcuni dirigenti del nazismo tedesco e del fascismo italiano, in visita a Barcellona durante l’occupazione franchista, susseguente alla Guerra Civile. I golpisti franchisti, che interruppero con le armi il sistema democratico repubblicano, governarono esercitando deliberatamente il terrore, ben coscienti del fatto che la grande maggioranza della popolazione era contro di loro.  In Catalunya massimamente, ma anche nel resto del paese.


L’imposizione del nazionalismo uninazionale spagnolista
In Catalunya, sia pure con risultati scadenti,si è condotto sistematicamente e per un tempo assai lungo un genocidio culturale, un fatto questo cheil nazionalismo spagnolista ha voluto e ancora vuoledisconoscere, ignorare e occultare.La repressione brutale e la politica del terrore contro la maggioranza espressa dalle classi popolari, volute e condotte dalle oligarchie e dalla éliteancora oggi al potere, si applicarono all’intera Spagna, con un particolare accanimento nei confronti della Catalunya e della sua cultura. La sinistra catalana ha sempre sostenuto che la lotta per l’emancipazione delle classi popolari e della nazione catalana è una sola e unica lotta.In Spagnala grande influenza del nazionalismo spagnolista ha sempre giudicato come secessionismo qualsiasi difesa dell’identità catalana e della plurinazionalità del paese. La marginalizzazione di Pasqual Maragall, presidente socialista della Generalitat de Catalunya e già sindaco della Barcellona dei Giochi Olimpici del 1992, voluta dal PSOE (Partito Socialista Operaio Spagnolo)del presidente Zapatero per contrastare il tentativo di affermazione del diritto della Catalunya a essere nazione, esemplifica assai bene questa influenza. Maragall fu accusato di simpatie secessioniste, ma nella realtà la richiesta catalana di riconoscimento non ha mai celato, né allora né oggi, ambizioni secessioniste. Anche in Spagna come nel resto d’Europa i socialisti cominciavano a dimenticare cosa volesse dire essere socialisti.
Critica al supposto vittimismo della Catalunya

Altra accusa reiterata dell’establishment politico-mediatico spagnolo al nazionalismo catalano è quella di vittimismo, presentando la Catalunya come se soffrisse di un complesso paranoico in quanto vittima della Spagna. Complesso secondo loro infondato dato che la Catalunya avrebbe sempre goduto di un trattamento preferenziale da parte dello Stato spagnolo. Un’analisi obiettiva di quanto avvenne con la Statuto del 2006 (quando alcune delle sue parti essenziali furono annullate dal veto posto dal Tribunale Costituzionale, dando inizio all’impennata dell’indipendentismo) mostra l’infondatezza di questa accusa. Ecco dunque una breve lista delle ingiustizie e delle offese fatte alla Catalunya. Nel 2005 il governo tripartito catalano di sinistra, guidato dal socialista Pasqual Maragall, elaborò uno Statuto che ridefiniva la relazione del governo della Generalitat catalanacon lo Stato spagnolo, Statuto nel quale proponeva, tra altre cose, il riconoscimento della Catalunya come nazione, all’interno di uno Stato spagnolo plurinazionale. Tale Statuto, come già detto, fu approvato dal Parlamento della Catalunya, e poi (con alcune modifiche) dalle Cortes Españolas (il Parlamento di Madrid) e infinedal popolo catalano, consultato con un referendum. Purtroppo però tutto questo processo che rifletteva un accumulo di decisioni prese da diverse Istituzioni, tutte diversamente sovrane,fu completamente ignorato. Elementi importanti di questo Statuto furonomodificati o vietati dal Tribunale Costituzionale, controllato dal PP (Partito Popolare), realizzando quello che è stato definito un vero e proprio colpo di Stato al servizio degli interessi di un unico partito. E, offesa ancor maggiore, furono eliminati dal nuovo Statuto catalano elementi che erano stati approvati negli Statuti di altre Comunità Autonome, come quella dell’Andalusia. Perché dunque accusare di paranoia la Catalunya?Questo atteggiamento si è ripetuto e ha illustrato il comportamento del governo centrale, da allora sino a oggi. Come interpretare la mobilitazione dello scorso settembre, in omaggio alla Guardia Civil responsabile delle oltre mille vittime del 1° di Ottobre se non come un ennesimo atto del nazionalismo spagnolista, dato che Guardia Civil e Polizia nazionale operarono come strumenti al servizio dello Stato spagnolo per imporre la legge di Madrid in Catalunya?L’esagerata enfasi al rispetto della Legge – un altro degli argomenti reiterati ossessivamente dal nazionalismo uninazionale spagnolo, come un monotono mantra - ignora volutamente che la Costituzione del 1978 risale appuntoal periodo della cosiddetta Transizione (1975-1978). Un periodo assai poco equilibrato, durante il quale i franchisti vincitori della Guerra Civil (che controllavano l’apparato dello Stato e la maggior parte dei mezzi di comunicazione) avevano praticamente tutto il potere, mentre i vinti, i Repubblicani, (che avevano vinto le elezioni nel 1936 ottenendooltre il 60% dei seggi nel Parlamento di Madrid) avevano un potere assai scarso, essendo nella maggior parte appena usciti dal carcere o ritornati dall’esilio o riemersi dalla clandestinità. La continua referenza al rispetto della Legge è il messaggiodi quelli che vogliono garantirsi il perpetuare anche oggi dello stesso squilibrio nel confronto fra le forze politiche. Una mera scusa per difendere lo statu quo.
Per quanto poi riguarda l’approvazione della Costituzione da parte di tutta la popolazione spagnola garantirebbe quella legittimità alla quale devono sottostare tutti coloro che si pretendono democratici, occorre segnalare che alla popolazione furono presentate due sole alternative: aprire alla Democrazia, così come riflessa nella Costituzione oppure continuare con la Dittatura. Di fronte a queste due opzioni era ovvia quale fosse la scelta della maggioranza degli spagnoli. Ma altrettanto ovvio rilevare che dovunque – anche in Catalunya dove la maggioranza fu la più alta – prevalse il rigetto alla dittatura piuttosto che l’entusiasmo per quella particolare Costituzione, quella attualmente in vigore, che l’establishment di Madrid difende con le unghie. La risposta al referendum costituzionale fu l’unica possibile per la soluzione di una situazione altrimenti oramai intollerabile.

Per quei catalani che si sentono anche spagnoli, è oggi assai difficile optare per qualcosa che non sia il secessionismo, dato che l’immagine che rinvia la Spagna alla Catalunya è molto poco seducente. Va guardato con speranza e considerato positivamente la comparsa su tutto il territorio spagnolo di nuove forze progressiste che difendono una visione plurinazionale. Esse sole potranno salvare la Spagna, perché la repressione e la costante ottusa offesa alla Catalunya da parte dello Stato spagnolo hanno oramai quasi raggiunto l’obiettivo desiderato dall’indipendentismo. L’ostilità crescente di larghe fasce della società catalana nei confronti dello Stato spagnolo e della Spagna è un fatto oramai acquisito. Oggi più che mai occorre credere che un’altra Spagna sia possibile, una Spagna plurinazionale e repubblicana, della quale la nuova Catalunya possa fare parte. Il troppo lungo protrarsi del dominio dello Stato borbonico ha purtroppo oramai aperto le porte a un secessionismo di pancia, condiviso da una grande parte dei catalani, popolari e/o borghesi.
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Questo scritto è il risultato della mia traduzione dal castellano e del mio libero adattamento dell’articolo di Vicenç Navarro, professore di Scienze Politiche e Socialidell’Università Pompeu Fabra di Barcellona, apparso oggi sullarivista web “10 Publico”
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GIOVANNI CUTOLO             

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